REATO DI ESERCIZIO ABUSIVO DELLA PROFESSIONE DI PSICOLOGO/PSICOTERAPEUTA (II PARTE)
Continuando nell’esame della giurisprudenza che si è occupata del reato di esercizio abusivo della professione di psicologo/psicoterapeuta, si segnalano
C) sentenza del 17/11/2015 TAR LAZIO: nell’escludere AssoCounseling dall’elenco delle associazioni professionali non regolamentate in quanto l’attività svolta sul disagio psichico è coincidente con quella degli psicologi, afferma che “la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori dai contesti clinici, rientra nelle competenze della professione sanitaria dello psicologo“, e che l’art.1 L.56/89 riserva agli psicologi gli interventi su ogni tipo di disagio ed in qualsivoglia contesto.
In sintesi il TAR afferma in modo tranchant che la diagnosi psicologica è di per sé attività riservata perché presuppone le competenze proprie del professionista che individua il disagio, lo classifica scientificamente e decide la terapia.
D) sentenza del 5/06/2006 Corte di Cassazione.: sono attività riservate agli iscritti all’albo tutte le operazioni comportanti l’applicazione della psicologia, anche se compiute in contesti di attività libere, stabilendo che ciò che rileva è verificare se nell’espletamento dell’incarico il soggetto si comporti in concreto come psicologo, usando strumenti di indagine della psiche riservati alla professione, dovendosi qualificare come attività riservate agli psicologi a norma dell’art.1, L.n.56/89 anche quelle di diagnosi psicologica, di analisi del profilo psicologico attuato attraverso l’esame del controllo dell’ansia, dell’aggressività, della socievolezza e della leadership.
E) sentenza n.17702/2004 Cass.: ha stabilito che “l’attività di dialogo con i propri clienti, volta a chiarire gli eventuali disturbi di natura psicologica ed anche a fornire consigli, …, costituisce un’attività di diagnosi e di terapia che, nonostante la genericità delle indicazioni contenute nella L. 18 febbraio 1989, n. 56 (legge professionale), è certamente intimamente connessa alla professione di psicologo, costituendo espressione della specifica competenza e del patrimonio di conoscenze della psicologia, e comunque può agevolmente essere ricompresa tra le attività della professione medica, soprattutto quando sia diretta alla guarigione di vere e proprie malattie (nel caso di specie: anoressia)”. Principio poi ripreso nella sentenza n.14408/2011 con cui la Cassazione ha chiarito che “la psicanalisi … è pur sempre una psicoterapia che si distingue dalle altre per i metodi usati per rimuovere disturbi mentali, emotivi e comportamentali”, così in pratica individuando la psicoterapia nell’attività volta alla rimozione dei disturbi mentali, emotivi e comporatamentali.
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Inoltre, ai fini della verifica della sussistenza della fattispecie criminosa, è del tutto irrilevante:
-il numero delle prestazioni erogate poiché, per pacifica giurisprudenza, per integrare il reato di esercizio abusivo della professione è sufficiente il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione, trattandosi di reato di natura istantanea (Cass. pen.Sez 6, n.30068/12);
-lo scopo di lucro;
-l’ignoranza della normativa vigente per il riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero,
-il consenso del paziente
-l’eventuale correttezza dell’attività abusivamente esercitata.
Chiarito l’orientamento giurisprudenziale, di fronte al caso di un soggetto che si sospetta svolga attività di psicologo/psicoterapeuta, al di là degli schermi formali e delle denominazioni usate, per verificare se esiste il reato si deve valutare se quanto concretamente ed effettivamente svolto dal soggetto sia o meno qualificabile come attività tipica riservata allo psicologo/psicoterapeuta, ossia se, usando strumenti di indagine della psiche riservati alla professione, ponga in essere ad esempio diagnosi psicologica, analisi del profilo psicologico (attuato, come dice la Suprema Corte nelle sentenze citate, attraverso l’esame del controllo dell’ansia, dell’aggressività, della socievolezza e della leadership); se l’attività di dialogo con i clienti sia teleologicamente orientata alla diagnosi e abbia come obiettivo la cura di disturbi di natura psicologica ovvero se nel colloquio -magari anche usando test o altre metodiche tipiche- miri ad individuare particolari aspetti del funzionamento psichico; se fornisce consigli su come affrontare e risolvere tali problemi.
E’ evidente che per ipotizzare se sia integrato il reato di esercizio abusivo della professione di psicologo/psicoterapeuta, non può prescindersi dall’esame concreto della reale attività che il soggetto pone effettivamente in essere, al di là delle espressioni usate. Ad esempio, il “colloquio” può essere considerato in astratto un atto tipico riservato al professionista. Tuttavia non ogni colloquio è atto tipico ma solo quello che, come chiarito nella giurisprudenza sopra richiamata, abbia ad oggetto vari aspetti della vita dei clienti al fine di diagnosticare problematiche di natura strettamente psicologica connesse ai disturbi lamentati e fornire consigli su come affrontare e risolvere tali problemi, deve trattarsi di un colloquio su aspetti intimi della vita dei pazienti, per diagnosticare problematiche psicologiche eventualmente all’origine dei disturbi da loro lamentati (Cass. Sez. 6, n.16562 del 15/03/2016; Cass. Sez.6, n.17702 del 03/03/2004), oppure, nel caso di chi tratta pazienti affetti da disturbi psicologici (ansia, fobie, depressioni) di colloqui e anamnesi per collegare cause psicologiche e disturbi fisici (Cass. Sez. 6, n.20099 del 19/04/2016).