La stretta e pericolosa strada del ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo
Ci sono norme che attraversano i decenni e, esagerando, i secoli, senza mai subire modifiche legislative, sempre in grado di adattarsi ai tempi grazie alla loro elasticità che permette di “indossare” le interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali come se fossero abiti su misura.
Ci sono poi altre norme che, al contrario, subiscono continue modifiche, come colpi di scalpello per aggiustare la scultura, salvo poi rischiare di consumare il marmo e rendere la norma indecifrabile.
Una delle norme più tormentate del codice di procedura civile è l’art.360 comma 1, n.5, che prevede la possibilità di impugnare con ricorso per cassazione le sentenze definitive pronunciate in grado d’appello o in unico grado per omesso esame di un fatto decisivo.
Il testo originale del 1942 stabiliva la possibilità di impugnare “5) per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Un intervento legislativo nel 1950 ha modificato il testo in “5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”.
Nel 2006, la norma è stata ulteriormente modificata in “5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Da ultimo, con D.L.83/2012, siamo ritornati praticamente alla formulazione originale “5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con l’unica differenza, più estetica che di rilievo pratico, di un “circa” al posto di un “di”.
Con tale ritorno alle origini, eliminando la trinità dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la via per il ricorso si fa sempre più stretta, specie per i casi in cui il fatto decisivo sia stato esaminato nella sentenza ma all’interno di una motivazione che un tempo sarebbe stata attaccabile come insufficiente o contraddittoria mentre adesso non è più soggetto al sindacato della Corte di Cassazione.
Per ovviare al problema, i ricorrenti potrebbero tentare la via di presentare il vizio di motivazione (per il quale la nuova/vecchia formulazione dell’art.360, comma 1, n.5 c.p.c. ha pressoché chiuso le porte) come violazione di una norma sostanziale o processuale (violazione o falsa applicazione di legge ex art.360 c.1 n.3 c.p.c.), ma la Suprema Corte ha le armi per scoprire ed impedire questi comprensibili tentativi di “hackeraggio giuridico”.
E infatti, con la sentenza delle Sezioni Unite n.19881/2014, la Cassazione ha avuto modo di precisare che: “…nella riformulazione del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ., scompare ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata e, accanto al vizio di omissione (che pur cambia in buona misura d’ambito e di spessore), non sono più menzionati i vizi di insufficienza e contraddittorietà. La ratio legis è chiaramente espressa dai lavori parlamentari, laddove si afferma che la riformulazione del n. 5) dell’art. 360 è «mirata ….. a evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, supportando la generale funzione nomofilattica propria della Suprema Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non, se non nei limiti della violazione di legge, dello ius litigatoris». In questa prospettiva, volontà del legislatore e scopo della legge convergono senza equivoci nella esplicita scelta di ridurre al minimo costituzionale il sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità. … il vizio si converte in violazione di legge nei soli casi di omissione di motivazione, motivazione apparente, manifesta e irriducibile contraddittorietà, motivazione perplessa o incomprensibile, sempre che il vizio fosse testuale. … Nel quadro di tale orientamento le Sezioni Unite (sent. n. 5888 del 1992) avevano sottolineato che la garanzia costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali dovesse essere correlata alla garanzia costituzionale del vaglio di legalità della Corte di cassazione, funzionale «ad assicurare l’uniformità dell’interpretazione ed applicazione del diritto oggettivo a tutela dell’uguaglianza dei cittadini». Esse avevano, quindi, stabilito che l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità quale violazione di legge costituzionalmente rilevante atteneva solo all’esistenza della motivazione in sé, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esauriva nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”. Le Sezioni Unite evidenziavano, altresì, che «il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assumono inficiarla sino al punto di renderne apparente il supporto argomentativo, devono essere desumibili dallo stesso tessuto argomentativo attraverso cui essa si sviluppa, e devono comunque essere attinenti ad una quaestio facti (dato che in or- dine alla quaestio juris non è nemmeno configurabile un vizio di motivazione). In coerenza con la natura di tale controllo, da svolgere tendenzialmente ab intrinseco, il vizio afferente alla motivazione, sotto i profili della inesistenza, della manifesta e irriducibile contraddittorietà o della mera apparenza, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, sì da comportare la nullità di esso; mentre al compito assegnato alla Corte di Cassazione dalla Costituzione resta estranea una verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle quaestiones facti, la quale implichi un raffronto tra le ragioni del decidere adottate ed espresse nella sentenza impugnata e le risultanze del materiale probatorio sottoposto al vaglio del giudice di merito». …Il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. concerne, invece, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.
Insomma, con l’ultimo periodo sopra citato, la “fortezza” è stata praticamente resa inespugnabile.
Di fatto, una sentenza di merito che ometta l’analisi di elementi istruttori ma valuti genericamente il fatto storico senza dare conto di tutte le risultanze astrattamente rilevanti, è immune da vizi di legittimità e non può essere impugnata in Cassazione, pena l’inammissibilità del ricorso.
Facendo leva su tale principio, una recente ordinanza della Suprema Corte, Sezione Lavoro, la n.14519 del 2018, ha dichiarato inammissibile un ricorso che lamentava l’omesso esame nella sentenza impugnata di un fatto decisivo, sul presupposto che “l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, così come è accaduto nel caso in esame, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato cont odi tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass. s.u. 07.04.2014 n.7053) e sebbene le conclusioni tratte dalla sua valutazione non siano state quelle auspicate”.
In questo caso, lo si lasci dire, la furia difensiva della Corte di Cassazione ha prodotto un errore materiale, dato dal richiamo di un precedente (7053/2014) di nessuna attinenza col caso che ci occupa, in luogo di quello corretto più sopra indicato (Cass. s.u. n.19881/2014).
Ma questa svista, è, forse, sintomo del fatto che la difesa ad oltranza della garanzia costituzionale del vaglio di legalità della Corte di Cassazione ha prodotto una lesione non piccola nella garanzia costituzionale della motivazioni dei provvedimenti giudiziari.
Tradotto, si potrebbe dire che per arginare il moltiplicarsi di ricorsi, spesso anche strumentali all’allungamento dei processi, è stato un po’ incrinato il diritto ad un provvedimento giudiziario ben motivato.
L’ordinanza sopra citata ha altresì arginato il tentativo, posto in essere con un ulteriore motivo di ricorso, di trattare la questione del mancato esame di un elemento probatorio anche sotto il profilo della violazione di legge e lo ha riportato sotto le forche caudine dell’art.360 c.1 n.5 in esame. La Cassazione ha infatti affermato che “…in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento … opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di motivazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art.360, comma 1, n.4 .c.p.c., bensì in un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e, dunque, nei limiti consentiti dall’art.360, comma 1, n.5. c.p.c. (integrante)riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione”.
Insomma, per esplicita affermazione, la garanzia costituzionale sul tema è, per l’appunto, minima.
Come spesso capita, purtroppo, l’abuso del diritto da parte di molti, porta a norme/interpretazioni più restrittive che penalizzano chi quel diritto lo faceva valere in modo corretto.