DIRITTO DEL CONIUGE ALLA RESTITUZIONE DI SOMME IMPIEGATE PER IL PATRIMONIO COMUNE AL VERIFICARSI DELLO SCIOGLIMENTO DELLA COMUNIONE LEGALE
Le spese sostenute dal coniuge per il restauro dell’immobile comune possono essere oggetto di domanda di restituzione ai sensi dell’art.192 c.c. solo nell’ipotesi in cui si tratti di spese sostenute con denaro avente la natura di bene personale ai sensi dell’art.179 c.c.
La disciplina della comunione legale tra coniugi contenuta negli artt. 177 e ss del c.c., regola all’art. 192 c.c. lo scioglimento della stessa prevedendo per le ipotesi di rimborsi e restituzioni l’obbligo di “rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste dall’art.186 c.c. ” ovvero il diritto di ottenere la “restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune”.
É noto che il regime della comunione legale non è un regime “totalizzante” e, per così dire, assorbente ossia capace di attrarre a sé tutti i beni della coppia anzi, al contrario, opera esclusivamente per le categorie dei beni indicati dall’art.177 c.c. In pratica, se una coppia sceglie il regime di comunione dei beni, possono di fatto coesistere in capo ai soggetti due categorie di beni, una costituita da beni personali e l’altra costituita da beni della comunione. Si è posto, pertanto, il problema di interpretare correttamente il terzo comma dell’art.192 c.c. laddove, allo scioglimento della comunione, attribuisce al coniuge il diritto alla restituzioni di quanto prelevato dal patrimonio personale ed impiegato nel patrimonio comune. Si ritiene, secondo pacifica dottrina e giurisprudenza, che il concetto di “somme prelevate dal patrimonio personale” debba farsi coincidere con quello di “beni personali” elencati all’art.179 c.c. ossia, potranno essere restituite al coniuge “anticipatario” solo le somme che derivano da suoi beni personali (per esempio dalla vendita di un bene personale o da una donazione o da un bene acquistato per successione) e non le somme che originano da rapporto di lavoro o proventi dell’attività separata che cadono, invece, nella comunione de residuo, solamente per la parte non consumata al momento dello scioglimento della comunione (art.177 c.c.).
È altrettanto pacifico che non si possa chiedere la restituzione di beni (personali) conferiti in comunione che, grazie al conferimento, acquistano la natura di bene comune e quindi al momento dello scioglimento della comunione sono soggetti alla divisione prevista dall’art.194 c.c. (che prevede la divisione in parti uguali, senza riguardo alla misura della partecipazione), così come non è possibile richiedere il rimborso di denaro proprio utilizzato per l’acquisto di un immobile caduto in comunione (in tal senso vds., Cass. 10896/2005) o, infine, di quanto costituisce donazione.
Sulla base di tali premesse, ad esempio, la giurisprudenza di merito e legittimità ha sempre riconosciuto al coniuge non proprietario del bene il diritto alla restituzione delle somme utilizzate per l’edificazione dell’immobile di proprietà esclusiva dell’altro (è cioè l’ipotesi in cui un solo coniuge sia proprietario del suolo -avente natura di bene personale- su cui è stato costuito l’immobile che per accessione diviene di proprietà esclusiva del proprietario del suolo medesimo). In tal caso non c’è una comunione e quindi non si rende necessario indagare ai sensi dell’art. 193 c.c. sulla natura dei denari utilizzati (ossia se derivante da bene personale o meno), restando tuttavia necessario che in tale ipotesi non si configuri una donazione.
La Cassazione con la sentenza n. 24160/2018 esamina il caso, ancora una volta, l’ipotesi della richiesta di restituzione di quanto versato per la costruzione di immobile in comunione. Il caso è quello della ex moglie che cita in giudizio l’ex marito per sentirsi riconoscere il diritto alla riscossione del 50% dei canoni di locazione di due appartamenti oggetto di comunione perecpiti solo dall’altro ex coniuge. A tale richiesta il marito aveva opposto, tra l’altro, la circostanza che si trattava in realtà di immobili di sua proprietà esclusiva perché acquistati con denaro proprio e cointestati alla moglie solo in via fiduciaria, chiedendo la condanna della ex moglie al pagamento di metà delle spese sostenute per i lavori di finitura degli immobili acquistati al grezzo.
Accolte le ragioni della moglie in primo grado, la Corte di Appello condannava invece la moglie alla restituzione della metà delle spese di ristrutturazione dell’immobile in applicazione del principio dell’indebito arricchimento.
Investita della questione, la Cassazione ha preliminarmente osservato come la cointestazione dell’immobile, non avendo natura fiduciaria, doveva essere qualificato come una donazione indiretta esprimente una volontà di liberalità ossia la “consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario mediante attribuzioni od erogazioni patrimoniali operate nullo iure cogente”.
Tanto premesso la Cassazione ha ritenuto che anche i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal coniuge in costanza di matrimonio per finanziare i lavori di restauro degli immobili dovevano essere qualificati come donazioni indirette essendone evidente lo spirito di liberalità e, pertanto, “avendo i conferimenti spontaneamente eseguiti dal coniuge in costanza di matrimonio una loro causa nella liberalità, resta fuori dalla problematica la questione dell’aver o meno effettuato tali conferimenti sul presupposto di adempiere i propri doveri morali o sociali, e quindi in adempimento di una obbligazione naturale perché l’effetto di irripetibilità non discende dall’obbligazione naturale ma direttamente dalla causa di donazione”. La conseguenza di questo ragionamento è che la finalità di liberalità “non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti fatti o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà anche dopo la separazione: spetterà quindi al giudice del merito distinguere i pagamenti effettuati e le spese sostenute in costanza di matrimonio e prima che sia intervenuta la separazione personale delle parti e quelli effettuati dal marito successivamente … Eventuali conferimenti e spese successivi alla separazione, non sussistendo la finalità di liberalità, dovranno essere considerati esclusivamente spese sostenute da uno dei comproprietari in favore del bene in comunione, e quindi il giudice di merito dovrà valutare se la moglie possa essere condannata a restituirne il 50% al marito facendo applicazione delle regole ordinarie applicabili in materia di comunione ordinaria”.