ALCUNE QUESTIONI IN TEMA DI LAVORO PRESSO OPERATORI DI HANDLING AEROPORTUALE
Il termine inglese handling, ormai di uso comune con riferimento al settore aeroportuale, indica il complesso dei servizi destinati all’assistenza a terra degli aerei, delle persone e delle merci (es. imbarco e sbarco passeggeri e merci, ricovero degli aerei, etc.).
Tali servizi sono necessariamente complementari al servizio di trasporto aereo e, con la liberalizzazione del mercato, vengono affidati dal gestore aeroportuale in appalto alle aziende maggiormente competitive.
La normativa di riferimento è contenuta nel D.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18 “Attuazione della direttiva 96/67/CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di assistenza a terra negli aeroporti”.
La liberalizzazione del settore porta necessariamente ad un periodico ricambio degli operatori di handling con conseguenze inevitabili per i lavoratori.
Il CCNL per il personale di terra del trasporto aereo e delle attività aeroportuali ha cercato di predisporrestrumenti atti ad attenuare l’impatto sociale.
In particolare è previsto che ogni trasferimento di attività concernenti una o più categorie di servizi comporta, salvo diverse intese tra cedente e cessionario, il passaggio del personale dal precedente operatore del servizio stesso all’operatore subentrante in ragione della quota di traffico acquisita da quest’ultimo, con applicazione del trattamento economico e normativo e dell’inquadramento previsto dal c.c.n.l. di settore.
E’ stabilito che, prima di dare corso al trasferimento dei lavoratori, le aziende lo comunichino alle rappresentanze sindacali almeno 25gg. prima e che venga coinvolta anche l’ENAC.
Le aziende individueranno nominativamente il personale da trasferire secondo le modalità stabilite dal Protocollo del 16 aprile 1999 (d’intesa con le organizzazioni sindacali) e provvederanno a comunicare ai lavoratori interessati, almeno 3 gg prima del trasferimento di attività, le conseguenze nei loro confronti, provvedendo altresì a formalizzare i relativi adempimenti. Sono fatte salve le diverse intese intervenute a livello aziendale.
La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia n.31863/2018, ha stabilito che il meccanismo di coinvolgimento dell’Enac e delle organizzazioni sindacali non prevede alcuna conseguenza di carattere sanzionatorio derivante dal mancato rispetto della forma e della tempistica dell’ambito della procedura di “clausola sociale”.
Insomma è stato ritenuto che l’omissione formale del preventivo coinvolgimento delle oo.ss. non potesse avere alcuna conseguenza in termini di nullità o inefficacia della procedura non sussistendo alcuna violazione di norma imperativa regolante l’esercizio del potere datoriale di recesso.
Sotto altro profilo, le imprese di handling hanno in più occasioni cercato di sostenere che la fattispecie in esame non sarebbe inquadrabile come ipotesi di licenziamento classico, con la conseguenza che vi sarebbe una sostanziale inapplicabilità dell’art.2118 c.c. (che impone l’obbligo di preavviso) in quanto logicamente incompatibile con la ratio e le finalità sottese alla procedura di applicazione della c.d. clausola sociale.
Tuttavia,la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha, sul punto, un orientamento ben preciso, condivisibile e nettamente contrario allapredettatesi.
Con sentenza n.9589/2017 la Corte di Cassazione sez. Lavoro, richiamati altri propri precedenti, ha affermato testualmente che “l’art.2118 c.c. prevede l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso in ogni caso di licenziamento in cui non ci sia stato un preavviso lavorato senza eccettuare l’ipotesi in cui il lavoratore abbia immediatamente trovato un’altra occupazione lavorativa, neppure nell’ipotesi in cui la contrattazione collettiva … preveda un procedimento per pervenire al passaggio diretto e immediato del personale dell’impresa cessante nell’appalto di servizi alle dipendenze dell’impresa subentrante, lasciando ferma la risoluzione del rapporto di lavoro e la corresponsione di quanto dovuto per effetto della risoluzione stessa da parte dell’impresa cessante. … Né il richiamo dell’art.6 CCNL 30 aprile 2003 FISE per i dipendenti da imprese e società esercenti servizi di igiene ambientale vale a introdurre una deroga contrattuale, sia perché nulla è previsto quanto all’indennità sostitutiva del preavviso, sia perché la disposizione contrattuale in realtà prevede un procedimento per pervenire al passaggio diretto e immediato del personale dell’impresa cessante nell’appalto all’impresa subentrante. Quindi, vi era una soluzione di continuità tra il primo rapporto di lavoro con l’impresa cedente e quello successivamente instaurato con l’impresa subentrante…”.
La medesima sentenza, inoltre,analizzando il CCNL FISE che regolava la fattispecie, ha sottolineato chela garanzia del riconoscimento da parte dell’impresa subentrante del trattamento economico e normativo contrattuale già corrisposto dall’impresa cessante viene ritenuto un sintomo che “esclude che nel passaggio di gestione si configuri continuità ininterrotta del rapporto di lavoro tra impresa cessante e impresa subentrante. Il rapporto che si verrà ad instaurare è nuovo rispetto a quello cessato”.
Ancora, a fini ermeneutici, la suddetta sentenza ravvede nell’art.74 CCNL FISE il principio, non derogato da altre normative contrattuali, in base al quale “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non in prova non può essere risolto da nessuna delle parti senza un periodo di preavviso”.
Non vi sono ragioni per discostarsi da tale condivisibile orientamento anche nel campo dei lavoratori di terra del trasporto aereo.
Anche il CCNL del settore in esame, infatti, contiene norme analoghe.
L’art.H34 del CCNL prevede testualmente che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto da una delle due parti, purché questa ne dia regolare preavviso all’altra, osservando i termini di cui al punto successivo….”.
In nessun altro punto dell’articolo richiamato o del ccnl in generale vi sono deroghe a tale principio.
La circostanza che l’art.G3 del CCNL preveda una comunicazione da parte delle azienda ai lavoratori interessati almeno 3gg. prima del trasferimento di attività, non vale a costituire una deroga alla disciplina generale.
Un conto è il preavviso contrattualmente previsto per la risoluzione del rapporto di lavoro, volto notoriamente a tutelare dei diritti del lavoratore, altro conto è avvisare il lavoratore dell’imminenza del passaggio, in modo che questi possa organizzarsi dal punto di vista meramente pratico.
In definitiva, si può affermare che il principio di diritto in base al quale sussiste “l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere l’indennità di mancato preavviso nel caso di passaggio diretto del lavoratore dall’azienda che cessa dall’appalto a quella che subentra nello stesso appalto, mancando, nell’art.2118 secondo comma Cod. Civ. e nell’accordo sindacale, una previsione espressa che escluda la corresponsione dell’indennità” è stato più volte sancito dalla Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. n.9195/2012; Cass. Sez. Lav. n.1148/2014; Cass. Sez. Lav. n.21092/2014; Cass. Sez. Lav. n.24430/2015; Cass. Sez. Lav. n.9589/2017), e risulta perfettamente applicabile alla fattispecie in esame.
La citata Corte di Cassazione, sentenza n.31863/2018 si è altresì occupata anche di un ulteriore profilo (scelta dei lavoratori / computo periodo di anzianità).
Infatti,nonostante il chiaro significato letterale ed il palese intendimento delle parti che hanno redatto la clausola 4, comma 4, dell’Accordo Quadro del 18/3/1999 allegato alla Direttiva 1999/70/CE, in forza del quale “I criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro dovranno essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato, eccetto quando criteri diversi in materia di periodo di anzianità siano giustificati da motivazioni oggettive”,alcune sentenze di merito nonhannorilevato la mancata computazione dei periodi di lavoro a termine.Eppure,scambiare il concetto di “anzianità di servizio maturata” richiamato dal Protocollo del 16/4/1999 con quello di “anzianità dalla data di assunzione a tempo indeterminato” non è giustificabile e non trova riscontro nella normativa applicabile.
Investita della questione, la Corte di Cassazione citata ha accolto la lamentela delle lavoratrici per non essersi viste computare, ai fini dell’anzianità di servizio maturata (e dunque del corrispondente punteggio di cui alla graduatoria in concreto utilizzata per la scelta del personale destinato al passaggio) anche in periodi di lavoro svolto a tempo determinato.
In particolare, secondo la Suprema Corte, il riferimento alla “anzianità di servizio maturata” contemplato nel protocollo del 1999 espressamente richiamato dall’art.G3 del CCNL, e l’assenza di ogni chiara limitazione della stessa al solo rapporto a tempo indeterminato con il gestore, è indicativa di una volontà di inclusione di tutta l’anzianità maturata e dunque anche di quella relativa a pregressi rapporti di lavoro a termine.
Ma soprattutto depone nel senso di una tale interpretazione l’applicazione del principio di non discriminazione previsto dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che comporta l’obbligo di assicurare al lavoratore a t.d. condizioni di impiego che non siano meno favorevoli rispetto a quelle garantite al lavoratore assunto a tempo indeterminato.
La Corte, nella decisione richiamata, ha poi ricordato quattro principi espressi dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea:
a) la clausolaprevedenteche icriteridelperiododi anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro debbano essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato che indeterminato, eccetto quando una diversità sia giustificata da motivazioni oggettive, esclude in generale qualsiasi disparità di trattamento tra lavoratori e la stessa può essere fatta valere davanti al giudice nazionale che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione;
b) il principio di non discriminazione non può essere interpretato in modo restrittivo;
c) le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4 con la conseguenze che le stesse possono essere negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva;
d) la disparità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguono le modalità di lavoro e che attengono alle caratteristiche ed alle mansioni effettivamente espletate.