LE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO SONO IMPRESE SOCIALI ?
Nel nostro ordinamento giuridico è tuttora in vigore la Legge 15 aprile 1886, n. 3818, concernente la personalità giuridica delle società di mutuo soccorso.
Tale normativa è stata riformata dalla L. 17 dicembre 2012, n.221 (di conversione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179), che ha disposto che le società di mutuo soccorso (soms) sono iscritte nella sezione delle imprese sociali presso il Registro delle Imprese.
La normativa anzidetta ha modificato anche l’art.1 L.3818/1886 prevedendo che le soms “non hanno finalità’ di lucro, ma perseguono finalità di interesse generale, sulla base del principio costituzionale di sussidiarietà, attraverso l’esclusivo svolgimento in favore dei soci e dei loro familiari conviventi di una o più delle seguenti attività:
a) erogazione di trattamenti e prestazioni socio-sanitari nei casi di infortunio, malattia ed invalidità al lavoro, nonché in presenza di inabilita’ temporanea o permanente;
b) erogazione di sussidi in caso di spese sanitarie sostenute dai soci per la diagnosi e la cura delle malattie e degli infortuni;
c) erogazione di servizi di assistenza familiare o di contributi economici ai familiari dei soci deceduti;
d) erogazione di contributi economici e di servizi di assistenza ai soci che si trovino in condizione di gravissimo disagio economico a seguito dell’improvvisa perdita di fonti reddituali personali e familiari e in assenza di provvidenze pubbliche.
Le attività previste dalle lettere a) e b) possono essere svolte anche attraverso l’istituzione o la gestione dei fondi sanitari integrativi di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”.
In tale contesto si è inserito il D.Lgs n.117/2017 Codice del Terzo Settore (CTS) che, per quanto di rilievo esclusivo delle soms, prevede che non sono soggette all’obbligo di iscrizione presso il Registro Imprese le soms che hanno un versamento annuo di contributi associativi non superiore a €.50.000,00 e che non gestiscono fondi sanitari integrativi.
L’art.2 della L.3818/1886 stabilisce il divieto per le soms di svolgere attività di impresa e comunque diverse da quelle previste dalla legge.
Ovviamente tale divieto va coordinato con la possibilità di gestire il patrimonio dell’ente, altrimenti sarebbe privo di senso. E’ evidente infatti come non si possano erogare servizi solo con le quote sociali e come non si possa lasciare inerte il patrimonio creatosi nel corso degli anni.
A tal fine, può essere interessante verificare come l’ordinamento giuridico si è regolato con le imprese sociali.
Prima di tutto, deve premettersi come non vi sia equivalenza tra imprese sociali e società di mutuo soccorso e questo nonostante vi siano alcuni difetti di coordinamento tra le normative succedutesi nel tempo.
Le imprese sociali, infatti, in base al d.lgs.155/2006 (ora abrogato dal d.lgs.112/2017 che tuttavia ha lasciato inalterato l’impianto che si sta per descrivere) sono definite come organizzazioni private che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione e scambio di beni o servizi di utilità sociale (ad es. asilo nido). La norma precisa che non acquisiscono la qualifica di impresa sociale le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino (come invece accade per le soms) l’erogazione di beni e servizi ai soli soci, questo perché le imprese sociali offrono beni e servizi alla generalità del pubblico.
Altro criterio per ritenere confermato che le soms non sono da considerare come imprese sociali sempre e comunque (e ciò nonostante il fatto che con L. 17 dicembre 2012, n.221 è stato disposto che le società di mutuo soccorso sono iscritte nella sezione delle imprese sociali presso il Registro delle Imprese) è dato dall’interpretazione del c.d. codice del terzo settore di cui al d.lgs 117/2017.
L’art.4 della predetta normativa elenca gli enti del terzo settore, tra i quali figurano, ben separate e distinte tra loro, le imprese sociali e le soms.
L’art.46 prevede 7 sezioni del runts (dalla lettera A alla lettera G) indicando le imprese sociali alla lettera D e le soms alla lettera F.
Non pare esagerato affermare che, se il legislatore avesse voluto ritenere come equivalenti le tipologie “impresa sociale” e “soms”, non avrebbe allora dovuto fare le differenziazioni sopra indicate.
Chiarito il quadro generale, è poi interessante verificare come è stato disciplinato il rapporto tra “attività tipiche” e “attività diverse”.
Per le imprese sociali, sia il d.lgs.155/2006 (ora abrogato) all’art.2, comma 3, che il nuovo dlgs.112/2017 , sempre all’art.2 comma 3, prevedono che s’intende svolta in via principale l’attività per la quale i relativi ricavi siano superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’impresa sociale secondo criteri definiti con decreto ministeriale.
Il DM 24/1/2008 (ad oggi non superato da altro decreto) di Definizione dei criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del settanta per cento dei ricavi complessivi dell’impresa sociale, specifica a chiare lettere che non vengono, in ogni caso, considerati nel computo del rapporto del 70% i ricavi relativi a:
a) proventi da rendite finanziarie o immobiliari; b) plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale; c) sopravvenienze attive; d) contratti o convenzioni con società ed enti controllati dall’organizzazione che esercita l’impresa sociale o controllanti la medesima.
Gli enti del terzo settore, invece, secondo la riforma introdotta dal d.lgs 117/2017 possono esercitare due tipologie di attività: quella principale sancita dall’art. 5 del CTS e denominata “di interesse generale”; ed una seconda espressa all’interno dell’art. 6 e descritta come “diversa”.
L’art. 6 del d.lgs 117/2017 espone difatti che “Gli enti del Terzo settore possono esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto del DML di concerto con il MEF, sentita la Cabina di Regia”.
Il decreto ministeriale definisce i due tratti caratterizzanti delle attività diverse: la strumentalità e la secondarietà.
In particolare, le attività diverse sono considerate strumentali quando sono finalizzate a supportare, sostenere, promuovere o agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente del Terzo settore. La secondarietà ricorre in una delle seguenti ipotesi: i ricavi da attività diverse non sono superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente del Terzo settore; i ricavi da attività diverse non sono superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente del Terzo settore. L’ente del Terzo settore può scegliere uno dei due criteri, che dovrà poi essere indicato nella relazione di missione o in un’annotazione in calce al rendiconto per cassa.
Si può così ritenere che, così come per le imprese sociali secondo quanto stabilito dal D.M. 24/1/2008 più sopra richiamato, non possano essere considerati nel computo delle percentuali ora riportate, i ricavi da rendite finanziarie o immobiliari. Questo perché, altrimenti, vi sarebbe un evidente contrasto con il diritto per gli enti del terzo settore di avere un patrimonio e chiedere addirittura donazioni o lasciti per incrementare lo stesso.
L’art.8 del codice terzo settore prevede che: “Il patrimonio degli enti del Terzo settore, comprensivo di eventuali ricavi, rendite, proventi, entrate comunque denominate e’ utilizzato per lo svolgimento dell’attività statutaria ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità‘ civiche, solidaristiche e di utilità sociale”.
Insomma, in estrema sintesi, la messa a rendita del patrimonio immobiliare tramite locazione non pare un’attività di impresa estranea allo scopo sociale, quanto piuttosto una mera gestione del proprio patrimonio al fine di garantire il perseguimento degli scopi sociali. Come tale, si ritiene che non debba essere considerata (esattamente come accade per le imprese sociali) nel computo per stabilire le percentuali tra attività principale e attività diverse.
Altra cosa -in questo caso da sanzionare- sarebbe invece l’ipotesi della soms che non svolga alcuna attività istituzionale ma si limiti a gestire il proprio patrimonio, così atteggiandosi più a società immobiliare che a soms.
Altra cosa ancora, invece, è l’attività (questa sì che sarebbe da computare nei ricavi per attività diverse) di una soms che, ad esempio, adibisca uno degli immobili ad attività imprenditoriale di tipo alberghiero o altro gestendolo direttamente e ricavando guadagni.