COVID-19 E CONTRATTI DI LOCAZIONE COMMERCIALE
Nel corso della chiusura forzata degli esercizi commerciali a causa della c.d. prima ondata di COVID-19 avvenuta nel 2020, lo studio ha ricevuto numerose richieste da parte dei clienti su come affrontare e gestire i contratti di locazione ad uso commerciale: se l’inquilino-conduttore sospende la propria attività economica perché si adegua ad un provvedimento del Governo che impone la chiusura dell’attività commerciale esercitata nei locali oggetto del contratto di locazione, può anche sospendere totalmente il pagamento dei canoni senza che il proprietario-locatore possa far nulla se non subire la perdita che di fatto viene addossata ad una sola parte del contratto?
Non è semplice la risposta perché il contemperamento degli interessi durante una pandemia non è certamente agevole da trovare.
In generale, l’art.1218 c.c. prescrive che il debitore che non esegue la prestazione sia tenuto al risarcimento se non prova che “l’inadempimento o il ritardo” sia determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. In astratto si può ritenere che l’emergenza sanitaria pandemica possa essere qualificata come causa di forza maggiore idonea ad escludere l’imputabilità dell’inadempimento in capo al debitore che di fatto si adegua al c.d. factum principis. Questo però non può portare ad una situazione di “sospensione” del contratto in forza della quale l’inquilino resta dentro l’immobile ma non paga perché non lo utilizza.
Specularmente, in linea generale si può affermare che il proprietario non possa pretendere il pagamento del canone come se nulla fosse accaduto.
Quindi?
Con espresso riferimento ai contratti a prestazioni corrispettive come la locazione, in assenza di precedenti giurisprudenziali sul punto, si è ritenuto opportuno ricorrere a quanto previsto dall’art.1467 c.c. che testualmente recita “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
Questa norma però, in caso di contenzioso, prevede innanzitutto che il debitore chieda la risoluzione del contratto e che l’unico rimedio in caso di presazione divenuta eccessivamente onerosa, sia la sola risoluzione lasciando solo al creditore la scelta se rinegoziare o meno le condizioni del contratto (peraltro la risoluzione viene accordata se ne ricorrono i presupposti, vale a dire che deve essere il giudice caso per caso a valutare l’eccessiva onerosità sopravvenuta, cosa che potrebbe anche non verificarsi in caso di attività commerciale non totalmente sottoposta a chiusura).
In alternativa, ma occorre il consenso delle parti, è possibile modificare le condizioni del contratto secondo equità ma, ovviamente, potrebbe non essere agevole stabilire cosa è equo e cosa non lo è.
Da marzo 2020 il panorama giurisprudenziale si è infittito di provvedimenti che hanno preso in esame l’incidenza del COVID-19 sui rapporti contrattuali.
Con l’interessante sentenza n.226/2021 (reperibile su www.giuraemilia.it) il Tribunale di Bologna affronta analiticamente e sistematicamente il tema dell’incidenza della normativa emergenziale sul sistema della responsabilità nei contratti e, in particolare, su come debba essere interpretato l’art.91 D.L.18/2020 rubricato “Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento…“, ai fini della valutazione dell’esclusione della responsabilità del debitore.
Il Tribunale chiarisce in via sistematica che la norma introdotta dal D.L.18/2020 non è tesa a tipizzare una “una fattispecie estintiva dell’obbligazione, quasi ad introdurre un’esenzione dall’adempimento motivata dalla impossibilità-inesigibilità della prestazione”, quanto ad introdurre un nuovo “paradigma ermeneutico” alla cui luce interpretare l’art.1218 c.c.
Secondo il Tribunale, infatti, i rimedi classici previsti dal c.c., ossia l‘impossibilità della prestazione (art.1256 c.c.) ovvero -nei contratti a prestazioni corrispettive- l’eccessiva onerosità sopravvenuta (art.1467 c.c.) mostrerebbero la loro debolezza nel rimedio offerto consistente nella sola possibilità di risoluzione del contratto (lasciando solo nell’ipotesi di cui all’art.1467 c.c. la scelta al creditore se rinegoziare il contratto) che potrebbe non coincidere con l’interesse della parte debitrice alla conservazione del contratto.
La ratio della disposizione normativa viene quindi individuata nella introduzione di maggiore flessibilità del sistema, lasciando al giudice il compito di valutare in concreto le ragioni dell’inadempimento che deve essere un “inadempimento da COVID” (con onere della prova, chiaramente, in capo al debitore che la invoca).
Nel caso sub iudice (opposizione a sfratto per morosità), il Tribunale ha accertato che il conduttore non ha “fornito elementi per valutare appieno in che modo la pandemia abbia effettivamente inciso sulla sua attività” (spedizioni, logistica, autonoleggio: attività non sospese durante il lockdown) evidenziando peraltro che l’inadempimento si caratterizzava particolarmente gravoso (ossia un anno di canone non pagato), tanto che “anche in termini assoluti ed anche se l’inadempimento fosse integralmente addebitabile alla pandemia (e, appunto, non è così), con questi valori economici e temporali, la perdita economica non può continuare a cadere sulla proprietà”.
In sintesi, in questi casi la soluzione da preferire è quella di negoziare nuove condizioni contrattuali per la durata dell’emergenza, diversamente, in ipotesi di contenzioso, sarà rimesso al giudice valutare -sulla base di quanto provato dalle parti- l’imputabilità dell’inadempimento e le conseguenze che ne discendono.