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La nuova legge n.24/2017 sulla sicurezza delle cure / I parte (articoli da 1 a 6 compresi).

Dal prossimo mese di aprile 2017 entra in vigore la L.24/2017, recante “disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”.

Le nuove norme hanno l’intento, esplicitamente dichiarato fin dal 2013 in sede di presentazione della proposta di legge, di razionalizzare in modo organico il sistema della “responsabilità medica”, limitando il ricorso al contenzioso e l’aumento delle componenti di danno risarcibile; dando maggiore serenità professionale al medico al fine di contrastare il fenomeno della medicina difensiva.

L’art.1 della norma in esame contiene l’affermazione di principio alla base del dettato normativo: “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività”.

Per perseguire tale obiettivo, i successivi commi dell’articolo affermano che le strutture sanitarie pubbliche e private, nonché tutto il personale, compresi i liberi professionisti che operano in convenzione con il SSN, concorrono a porre in essere tutte le attività finalizzate alla prevenzione ed alla gestione del rischio connesso alla prestazione sanitaria.

Insomma, per sintetizzare (e semplificare), evitando di cadere nell’aziendalese usando termini come “implementazione del risk assessment” si può affermare che la nuova Legge, a livello di principio, dica, parafrasando una vecchia reclame pubblicitaria, “prevenire è meglio che risarcire”.

Quali soluzioni sono state adottate? L’art.2 attribuisce al Difensore civico regionale (organo amministrativo non propriamente conosciuto dai cittadini) la “funzione di garante per il diritto alla salute”. Dietro questa pomposa assegnazione di misteriosi poteri vi è, allo stato, solo la possibilità, in capo al Difensore civico, di ricevere le segnalazioni di disfunzioni da parte dei cittadini, acquisire eventuali documenti ed intervenire con i poteri che… verranno stabiliti dalla legislazione regionale! La montagna ha partorito il topolino.

Ma non è finita: in ogni regione viene istituito -senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica- un “Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente” che raccoglie dalle strutture sanitarie tutti i dati relativi ad eventi avversi e contenzioso e li trasmette, immaginiamo senza indugio, all’ “Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza della sanità” che, previsto all’art.3, sarà istituito entro 3 mesi dal Ministro della salute senza nuovi oneri per la finanza pubblica e avrà il compito, acquisiti i dati dai centri regionali, di individuare “idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie”.

Le denominazioni, che sembrano frutto della fantasia di Corrado Guzzanti/Barbagli nel film Fascisti su Marte, non lasciano presagire al momento particolari utilità in questi nuovi organismi amministrativi ma, ovviamente, si auspica di essere smentiti.

L’art.4 si occupa della trasparenza dei dati, prevedendo: -termini brevi e certi in capo alle strutture sanitarie per la consegna agli interessati della documentazione sanitaria relativa al paziente; -la pubblicazione sui siti internet delle strutture sanitarie pubbliche e private dei risarcimenti erogati negli ultimi 5 anni; -la possibilità, in capo ai familiari di un paziente deceduto, di concordare con la struttura sanitaria l’esecuzione del riscontro diagnostico (autopsia) disponendo la presenza di un medico di loro fiducia.

L’art.5 è, per certi versi, il vero cuore della normativa in quanto si occupa delle c.d. “linee guida” a cui poi si dovrà fare necessariamente riferimento per l’accertamento della responsabilità medica.

Innanzitutto è previsto l’obbligo in capo agli esercenti le professioni sanitarie, di attenersi nell’esecuzione della prestazione alle raccomandazioni previste dalle linee guida, salve eventuali specificità del caso concreto.

In assenza di linee guida, il sanitario dovrà attenersi alle “buone pratiche clinico-assistenziali”.

Non sarà sufficiente al medico, per andare esente da colpa, limitarsi al “compitino” (si fa per dire) di seguire alla lettera le linee guida: queste non sono altro che indicazioni generali che non esentano il medico dal valutarne la loro applicazione specifica al caso concreto. E ove questa valutazione non ci sia stata o non sia effettuata in modo corretto? La legge su questo punto lascia campo libero all’interpretazione.

Le linee guida e gli aggiornamenti delle stesse saranno (come da tradizione c’è un rimando al decreto del Ministero, ad intese con le Regioni, etc.) integrate nel Sistema Nazionale per le linee guida (SNLG) e pubblicate anche sul sito internet dell’Istituto Superiore di Sanità.

All’elaborazione delle linee guida che dovranno -si ribadisce- essere obbligatoriamente eseguite, salvo le specificità del caso concreto, dal sanitario, provvederanno gli enti e le istituzioni pubbliche e private, le società scientifiche e le associazioni professionali iscritte secondo le prescrizioni contenute in un apposito elenco del Ministero che verrà istituito e regolamentato da apposito decreto.

Questa tecnica legislativa, pur comprensibile, lascia delle perplessità: all’orizzonte già è possibile immaginare i ricorsi che verrano promossi, non appena il non ancora emanato decreto ministeriale verrà alla luce, dalle società scientifiche che saranno escluse dall’elenco.

Dopo aver strutturato nella maniera descritta i cardini del sistema (sicurezza delle cure e linee guida) la Legge in esame passa ad affrontare il tema della responsabilità medica.

Delle quattro facce della responsabilità medica (deontologica, penale, civile, amministrativa), la Legge ovviamente tralascia la prima non essendo di propria competenza.

La responsabilità penale è trattata all’art.6 che introduce il nuovo art.590 sexies del codice penale. Dopo una premessa che circoscrive (forse senza che vi fosse particolare bisogno) gli ambiti di responsabilità ai casi dell’omicidio colposo (art.589 c.p.) e delle lesioni colpose (art.590 c.p.) si prevede che, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida così come definite e pubblicate, sempre che le raccomandazioni previste nelle linee guida siano adeguate alla specificità del caso.

Come è ovvio, la causa di esclusione della punibilità opera solo in caso di evento cagionato da imperizia (mancanza di abilità / preparazione) e non anche in caso di negligenza (grave disattenzione / dimenticanza) o di imprudenza (atto contrastante con le norme di sicurezza) casi che, correttamente, non fanno venire meno in alcun modo la responsabilità penale del sanitario.

Altrettanto ovviamente, nel caso di imperizia, rimane aperta la questione dell’accertamento, caso per caso, della circostanza che le linee guida in astratto seguite alla lettera dal sanitario fossero adatte, in concreto, al caso del paziente lesionato o, peggio ancora, deceduto.

Se l’intento del legislatore era quello di dare più tranquillità operativa ai medici, non sembra che la il dettato normativo abbia assecondato tale intendimento, almeno sotto il profilo della responsabilità penale.

E infatti, la previsione di una causa di esclusione della punibilità non impedisce al paziente danneggiato di sporgere querela contro il sanitario ritenuto colpevole (anzi, è in genere questa la prima azione che d’istinto viene effettuata dalla presunta “vittima di malasanità”), alla procura di effettuare le indagini del caso e di chiedere il rinvio a giudizio del medico, con tutte le conseguenze del caso.

-fine prima parte-