AZIONE DI RESPONSABILITA’ DEL CURATORE VERSO L’AMMINISTRATORE: DANNO RISARCIBILE E CRITERIO DI LIQUIDAZIONE DEL DANNO DOPO LE SEZIONI UNITE SENTENZA N.9100 DEL 06/05/2015 -I PARTE
Pare che dopo la sentenza n.9100/2015 Sez. Unite si possa affermare che la lunga strada della ricerca di un criterio di quantificazione e liquidazione del danno risarcibile in seno all’azione di responsabilità esercitata dal curatore nei confronti dell’amministratore, sia giunta al capolinea decretando la fine dell’applicabilità de plano del criterio che individuava il danno risarcibile nella differenza tra il passivo e l’attivo fallimentare, criterio che può al più integrare un parametro per la liquidazione equitativa del danno ex art.1226 c.c.
Il fatto. L’amministratore unico di una s.r.l., citato in giudizio dal curatore fallimentare, era stato condannato in primo e secondo grado a risarcire il danno derivante dal suo inadempimento e quantificato nella differenza tra passivo ed attivo rilevati in seno alla procedura di fallimento. Secondo i giudici di merito, infatti, l’accertamento delle condotte inadempienti (distrazione di beni sociali, omessa tenuta di libri sociali, omessa predisposizione dei bilanci per gli esercizi del 1994 e 1995, omessa presentazione delle prescritte dichiarazioni fiscali) impedendo di ricostruire l’effettiva situazione patrimoniale della società fallita, giustificava il ricorso alla quantificazione del danno nella differenza dei netti patrimoniali.
L’A.U. ricorreva in Cassazione dove, rilevato un disallineamento tra gli orientamenti in merito alla questione se, nelle azioni di responsabilità promosse della curatela, sia corretto liquidare il danno utilizzando il criterio della differenza tra attivo e passivo accertati nell’ambito della procedura quando la mancanza di scritture contabili (addebitabile all’amministratore per violazione di un suo preciso dovere) non permetta la corretta ricostruzione dell’andamento dell’impresa prima del fallimento, la questione viene rimessa alle Sezioni Unite.
Excursus giurisprudenziale. Le S.U. danno conto dell’evoluzione e dei precedenti in materia:
1. un primo orientamento ed il più risalente affermava la possibilità di quantificare il danno ricorrendo al criterio della differenza tra attivo e passivo fallimentare nel caso di violazione da parte dell’amministratore di suoi doveri (divieto di compiere nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento Cass. 1281/1977; illecito comportamento degli organi sociali Cass. 2671/1977; omessa tenuta contabilità o tenuta della stessa in modo sommario e non intellegibile Cass. 6493/1985);
2. un secondo orientamento, sostenendo la necessità della causalità tra condotta censurata e danno risarcibile, ha affermato che il danno che gli amministratori/sindaci devono risarcire per aver violato i loro doveri legali o statutari, non può identificarsi sic et simpliciter nella differenza tra attivo e passivo fallimentari, ma può essere commisurato a tale entità solo qualora il dissesto economico della società e conseguente fallimento (Cass. n.9252/1997; n.10488/1998; n.1375/2000) sia derivato da tale loro inadempimento.
La giurisprudenza di Cassazione sembrava essersi stabilizzata nel secondo orientamento, sottolineando come l’imputazione agli amministratori della differenza tra attivo e passivo fallimentare non solo era in contrasto con il dato pratico che non sempre lo sbilanciamento patrimoniale dipende in via esclusiva da condotte imputabili agli amministratori, ma anche con il principio civilistico che impone la ricerca del nesso di causalità. Partendo da tale premessa, la giurisprudenza concedeva il ricorso al criterio differenziale tra attivo e passivo fallimentare come criterio di liquidazione del danno in via equitativa qualora fosse impossibile ricostruire i dati contabili con analiticità (Cass. n.2538/2005; n.3032/2005; n.16211/2007; n.17033/2008; n.16050/2009). In questo quadro in apparenza consolidato, si sono inserite in modo “distonico” le sentenze n.5876/2011 e 7606/2011 in cui si è ridato vigore al precedente orientamento affermando che, sebbene spetti all’attore la prova del danno (della sua esistenza e del suo ammontare e del nesso causale), in caso di assoluta mancanza o irregolare tenuta delle scritture contabili, a fronte dell’impossibilità per il curatore di ricostruire la situazione sociale e quindi anche le cause del dissento, si verifichi una inversione dell’onere della prova che viene addossata all’amministratore.